Yvonne Rainer

MAMbo Bologna | Yvonne Rainer: Words, Dances, Films

Triennale, Milano

Yvonne Rainer: Words, Dances, Films
A cura di Caterina Molteni

Settore Musei Civici Bologna | MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna
30 giugno – 10 settembre 2023

Il MAMbo – Museo d’Arte Moderna di Bologna del Settore Musei Civici Bologna è lieto di presentare, dal 30 giugno al 10 settembre 2023, la prima retrospettiva mai dedicata in Italia alla danzatrice, coreografa, regista, teorica e poeta Yvonne Rainer (San Francisco, 1934): Yvonne Rainer: Words, Dances, Films a cura di Caterina Molteni.

La mostra esplora le relazioni tra la produzione coreografica, filmica e teorica dell’autrice a partire da una ricostruzione storica della sua transizione dalla danza al cinema.
Nota internazionalmente per aver rivoluzionato il mondo della danza promuovendo negli anni Sessanta un approccio minimalista che trovava ispirazione nel naturale movimento cinetico del corpo e nella gestualità quotidiana, Rainer inizia la sua carriera da regista nel 1972, anno di uscita del primo film Lives of Performers.

Questo passaggio è tracciato nel percorso espositivo cercando le sue radici nell’impostazione intermediale delle performance degli anni Sessanta e Settanta dove parlato, proiezioni di fotografie, testi e immagini in movimento ricoprivano un ruolo centrale. Già dalle prime coreografie, Rainer include versi e brevi frasi che sviluppa, successivamente, in veri e propri dialoghi o monologhi registrati.

Nella seconda metà degli anni Sessanta inizia a produrre una serie di video sperimentali, alcuni dei quali trovano spazio nelle coreografie come oggetti di scena, spesso pensati per essere in dialogo con i corpi dei performer.

L’esposizione si presenta quindi come un percorso a ritroso che, a partire dall’analisi della produzione filmica, riporta in luce gli elementi formali ricorrenti nella struttura della sua danza e nelle tematiche di impronta socio-politica che, dallo scoppio della guerra in Vietnam sino all’avvicinamento al movimento femminista, si impongono come caratteri distintivi della sua attività cinematografica.

Se nella performance il corpo assume un ruolo politico perché presentato nella sua inderogabile materialità al di là di qualsiasi finzione narrativa, nei film è l’interiorità umana a trovare spazio nella sua complessità psicologica. È l’attenzione alle emozioni come “fatti” (Feelings are facts è il titolo del suo memoir del 2006) a segnare la decisione di dedicarsi alla sceneggiatura e alla regia, trovando nel racconto e nella sua capacità di coinvolgere e immedesimare il pubblico, lo strumento attraverso il quale trasformare una storia personale in una questione politica.

IL PERCORSO ESPOSITIVO

La mostra prende avvio da Trio A (1978), video di documentazione della coreografia del 1966 che ha reso Rainer nota internazionalmente, in cui emerge l’approccio minimalista basato sulla progressiva eliminazione di tutte le componenti drammaturgiche che caratterizzano la danza moderna. L’esposizione di virtuosismi tecnici, la centralità di grandi personalità, l’elevazione del danzatore a figura eroica e straordinaria lasciano spazio a una visione “ordinaria” del movimento sviluppata tramite un’impostazione dell’azione legata al “simil-compito” (task-like), in grado di generare un movimento (alzare un braccio, inclinare il bacino) in un tempo e con un investimento di energia reali e non mimetiche. Un’opera “manifesto” che fornisce al pubblico le coordinate metodologiche dell’impostazione coreografica di Rainer.

Il percorso prosegue nella Galleria che presenta le proiezioni dei cinque film sperimentali realizzati da Rainer tra il 1966 e il 1969, considerati dall’autrice come “film amatoriali”, appunti visivi della sua riflessione sul corpo in movimento.
Hand Movie (1966) è realizzato dall’autrice in ospedale durante un periodo di degenza e presenta una sensuale coreografia per mani.
Line (1969) è un esperimento sulla percezione di un oggetto in movimento lungo una diagonale, nello specifico si tratta di una perlina che passa lungo un filo, e sulle conseguenze prospettiche dell’irruzione in primo piano di una figura umana.
Altri tre film trovano spazio al centro della sala, simulando quello che era stato il loro utilizzo in scena a completamento del set: Volleyball (1967), consiste nella ripresa a camera fissa di due gambe che calciano lentamente un pallone, originariamente concepito per The Mind is Muscle (1968) con lo scopo di attivare un un dialogo con i performer, le cui gambe erano visibili al pubblico attraverso lo spazio lasciato libero tra palco e schermo, generando così una co-presenza di movimenti. Rhode Island Red(1968) è una veduta voyeuristica dell’interno di un allevamento di polli in Vermont, utilizzato nella performance Rose Fractions (1969), mentre Trio Film (1968) ritrae un dialogo muto tra due persone nude (Steve Paxton e Becky Arnold) che si passano una palla tra un divano e due sedie, pensato da Rainer per essere installato sul proscenio e utilizzato più volte tra il 1968 e 1969.

La Sala delle Ciminiere si trasforma in un cinema per accogliere le proiezioni dei lungometraggi diretti da Rainer dal 1974 al 1996, recentemente restaurati dal MoMA – Modern Art Museum di New York con il supporto di The Celeste Bartos Fund for Film Preservation, le cui sceneggiature sono state tradotte per la prima volta in italiano. Definiti dall’artista “storie autobiografiche, confessioni false, narrazioni compromesse, documentari minati, dissertazioni non accademiche, intrattenimenti dialogici”, i film intrecciano la sua storia personale con temi sociali e politici, avendo come soggetto principale quello dell’identificazione della donna nella società e la rappresentazione della figura femminile nel cinema. Psicoanalisi, post-strutturalismo, teorie femministe, post-colonialismo insieme a un audace sperimentazione narrativa sono impiegati da Rainer per porre il pubblico in una posizione attiva, in grado di emanciparsi e riconoscere i cliché sociali che caratterizzano la nostra contemporaneità.

Film about a Woman Who… (1974) ripercorre la storia di una donna rivelando la psicologia e le dinamiche di potere di una relazione in crisi.
Kristina Taking Pictures (1976) racconta di una addomesticatrice di leoni che da Budapest si trasferisce a New York per intraprendere la carriera da coreografa.
Journeys from Berlin/1971 (1980) si sviluppa come una lunga sessione di terapia dove una donna confessa a diversi psichiatri esperienze quotidiane di repressione e potere.
The Men Who Envied a Woman (1985) ricostruisce la fine di un matrimonio attraverso la figura di un uomo che sembra conoscere troppo bene i discorsi alla base dell’emancipazione femminile.
Privilege (1990) è dedicato alla menopausa e intreccia storie di donne a vicende che mettono in rilievo il privilegio sociale sia esso di genere, classe o etnia.
MURDER and murder (1996) è la storia di un amore di mezza età tra Mildred, lesbica da una vita, e Doris, innamorata di una donna per la prima volta, presentandosi come una meditazione sull’invecchiamento femminile, la sessualità lesbica e il cancro al seno in una cultura che glorifica la giovinezza e il romanticismo eterosessuale.

Per sottolineare la prevalenza del parlato nell’audio dei film, l’impianto del “cinema” presenta un sistema Altec Voice of Theater (Collezione Studio Majandi) con altoparlanti utilizzati in teatri, cinema e studi di registrazione e prodotti tra gli anni Cinquanta e Ottanta, quando gli stessi film Rainer sono stati realizzati.

Una sala è dedicata alla proiezione di Lives of Performers (1972), primo film in cui la danza e il suo mondo fanno da sfondo al “melodramma” di un triangolo amoroso. L’opera restituisce con chiarezza la qualità sperimentale della narrativa attivata dall’autrice e l’inizio della sua relazione con la critica cinematografica femminista. Rainer gioca con la struttura formale del melodramma e della soap-opera per rendere “visibili e accessibili le tensioni e i dilemmi della vita delle donne nel patriarcato” (Yvonne Rainer, The Films of Yvonne Rainer, 1989), insieme ai cliché che le definiscono. Il film si struttura come una successione di tableaux-vivant ambientati in un ambiente spoglio che però, nel succedersi delle immagini, viene a poco a poco riempito con elementi semplici come una sedia o una valigia: oggetti tratti dal quotidiano utilizzati per la carica narrativa e melodrammatica che trasmettono. I dialoghi e i monologhi introspettivi dei personaggi sono inseriti come voci fuori campo, creando un contrasto tra l’apparente emotività della vicenda e la monotonia del parlato, in un’atmosfera di verosimiglianza e ambiguità.

Il percorso prosegue lungo uno spazio interamente adibito ad archivio che presenta una ricca serie di materiali documentativi, dedicati alla produzione teorica e alla carriera da coreografa tra gli anni Sessanta e Settanta.
La prima sala propone due tra i suoi testi più noti.
In No Manifesto (1964) l’autrice, simulando un attacco all’industria creativa, provocatoriamente elenca una serie di attributi che non intende associare alla sua danza, come l’idea di spettacolarità, intrattenimento e finzione “magica”, a cui contrappone una visione reale, cinetica e ordinaria del movimento.
Viene inoltre esposto un estratto da A Quasi Survey of Some Minimalist Tendencies in the Quantitatively Minimal Dance Activity Midst the Plethora or an Analysis of Trio A (1968) con un riassunto delle caratteristiche formali che condividono la scultura e la danza minimalista, suddivise in ciò che viene “ridotto” formalmente e ciò che viene “eliminato”. Secondo Yvonne Rainer, gli anni Sessanta sono segnati da un eccezionale coincidenza tra il mondo dell’arte e quello della danza.

Rainer Variations (2002) è un documentario dalla forma ibrida, frutto della collaborazione con il regista e video-artista Charles Atlas. L’autore rielabora interviste, spezzoni dei film, frammenti di performance e prove, insieme a ricostruzioni di coreografie eseguite da Rainer o da altri. Nel file compare per esempio Richard Move che impersonifica Martha Graham, mentore di Rainer e figura centrale della danza moderna, nel tentativo esilarante di insegnarle Trio A.

La mostra si conclude nel cuore dell’archivio realizzato a partire da un insieme di materiali forniti dal Getty Research Institute di Los Angeles. Una time-line ricostruisce la carriera come danzatrice e coreografa di Yvonne Rainer dal 1960 al 1973, con fotografie, descrizioni curatoriali e dichiarazioni che si completano con la riproduzione di taccuini, disegni, scritti, e manifesti.

Uno spazio particolare è dedicato alla produzione poetica degli anni Novanta e Duemila, qui lasciata come testimonianza dell’interesse persistente dell’autrice per la scrittura, ulteriore esempio della sua volontà di trasformare la vita interiore in qualcosa che apre a uno spazio di condivisione, quel “tra” (Hannah Arendt, Vita Activa, 1958) che definisce “il politico”.

La mostra Yvonne Rainer: Words, Dances, Films fa parte di Bologna Estate 2023, il cartellone di attività promosso e coordinato dal Comune di Bologna e dalla Città metropolitana di Bologna – Territorio Turistico Bologna-Modena.

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